martedì 23 dicembre 2014
Una scia d'aeroplano
Qualche giorno fa ero in viaggio con amici, e in macchina, dall'autoradio ascoltavamo una canzone che avevo già sentito da qualche parte: la canzone era 『ひこうき雲』, Hikōkigumo, che significa letteralmente "scia d'aereo", di ARAI Yumi 荒井由実; e l'avevo già sentita nell'ultimo film di Miyazaki Hayao 『風立ちぬ』, Kaze tachinu, Si alza il vento.
La canzone è tratta dall'album omonimo del 1973, quindi non è un brano composto apposta per il film di Miyazaki. Non credo che si tratti della prima volta che una canzone di Arai Yumi entri nella colonna sonora di un film di Miyazaki, ma non ricordo, provate a controllare. Non sono un gran conoscitore di musica giapponese quindi non mi dilungo con spiegazioni e aneddoti che sarebbero forse risaputi, se non approssimativi o errati, e mi limito alla canzone e al testo soltanto. Posso solo dire che personalmente le canzoni dell'album ricordano lo stile di Carol King, e che la melodia di Hikōkigumo si avvicina a tratti di molto a A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum. Se la cosa è dichiaratamente un omaggio, io non lo so, non ho abbastanza curiosità per approfondire la cosa e quindi, come ho già detto, mi limito al testo.
Le parole sono molto belle, sebbene tristi: la canzone dovrebbe essere ispirata alla morte di una giovane compagna di scuola della cantante. Se poi avete visto il film, l'emozione si moltiplica e una lacrima può anche scappare. Il testo è oltretutto abbastanza semplice, quindi credo sia ottimo per chi studia giapponese. Quindi imparatelo, canticchiatelo, e la cosa si trasformerà anche in un ottimo esercizio.
Qui di seguito, il testo in caratteri giapponesi, la traslitterazione in romaji e infine la mia personale traduzione. Una piccola nota sulla mia traduzione: come sempre, ho cercato di rimanere il più vicino a una traduzione letterale, nel rispetto dell'originale, senza avventurarmi in voli poetici.
ひこうき雲
白い坂道が 空まで続いていた
ゆらゆらかげろうが あの子を包む
誰も気づかず ただひとり
あの子は 昇っていく
何もおそれない そして舞い上がる
空に 憧れて 空を かけてゆく
あの子の命は ひこうき雲
高いあの窓で あの子は死ぬ前も
空を見ていたの 今はわからない
ほかの人には わからない
あまりにも 若すぎたと
ただ思うだけ けれどしあわせ
空に 憧れて 空を かけてゆく
あの子の命は ひこうき雲
空に 憧れて 空を かけてゆく
あの子の命は ひこうき雲
Hikōkigumo
shiroi sakamichi ga sora made tsuzuiteita
yura yura kagerō ga ano ko wo tsutsumu
dare mo kizukazu tada hitori
ano ko ha nobotte yuku
nani mo osorenai soshite maiagaru
sora ni akogarete sora wo kakete yuku
ano ko no inochi ha hikōkigumo
takai ano mado de ano ko ha shinu mae mo
sora wo miteita no ima ha wakaranai
hoka no hito ni ha wakaranai
amari ni mo wakasugita to
tada omou dake keredo shiawase
sora ni akogarete sora wo kakete yuku
ano ko no inochi ha hikōkigumo
sora ni akogarete sora wo kakete yuku
ano ko no inochi ha hikōkigumo
Una scia d'aeroplano
Una bianca strada in salita conduceva fino in cielo
lentamente la foschia avvolge la ragazza
senza che nessuno se ne accorga, da sola
la ragazza sale
senza nulla temere, per poi alzarsi in volo
Voleva il cielo, volare nel cielo
la vita di quella ragazza, una scia d'aeroplano
Da quella finestra lassù in alto, la ragazza anche prima di morire
guardava il cielo, ora non capiscono
le altre persone non capiscono
"era troppo giovane"
pensano soltanto, ma lei era felice
Voleva il cielo, volare nel cielo
la vita di quella ragazza, una scia d'aeroplano
Voleva il cielo, volare nel cielo
la vita di quella ragazza, una scia d'aeroplano
La parte del ritornello 空に憧れて, sora ni akogarete, io l'ho tradotta semplicemente con "voleva il cielo". Il verbo 憧れる akogareru si traduce con "ammirare, desiderare, aspirare, essere attratto da…", io ho usato il semplice, ma potente, "volere", per rendere il desiderio della ragazza di salire in cielo. Si tratta ovviamente di una traduzione imperfetta, come qualsiasi traduzione del resto, ma credo che la semplicità sia sempre una cosa a cui restare fedeli quando si traduce.
venerdì 17 settembre 2010
Bambole gonfiabili.
(tit. ing. Air Doll)
Giappone 2009
regia di KOREEDA Hirokazu 是枝裕和
con BAE Doona, ARATA, ITAO Itsuji 板尾創路, Odagiri Joe オダギリ ジョー, TERAJIMA Susumu 寺島進

Se siete capitati in questo blog cercando su Google "bambole gonfiabili", oppure i più raffinati "Bae Doona nuda", mi dispiace ma resterete un poco delusi. Comunque non disperate, potrete sempre allietarvi la giornata, nonchè diventare ancora più nerd leggendovi la mia pseudo-recensione, pseudo-intellettuale. Potrete così usare le mie brillantissime argomentazioni per stroncare il film di Koreeda con i vostri amici, senza nemmeno citare la fonte. Fine del prologo divertente.
La tesi del film di Koreeda è che nelle grandi città giapponesi le persone sono sole, e vuote: insomma, non proprio un tema originale. Oltre a questo, il problema è che questa tesi (che peraltro dovrebbe essere sempre dimostrata) sembra sia usata come una scenografia bell' e pronta. Il ragazzino ossessionato dalle "maid" (le ragazze vestite come delle camerierine vecchio stile), l'anziana signora che vive col terrore dei criminali, il vecchio abbandonato, eccetera, sono solo degli stereotipi buttati lì per fare scenografia. Koreeda non si fa mancare neanche "la ragazza bulimica": non c'è nemmeno bisogno che parli, basta che vomiti. Non c'è il minimo tentativo quantomeno di raccontare l'esistenza dei "casi umani" che ci vengono presentati. Non c'è mai la volontà di rimboccarsi le maniche e spiegare, indagare, proporre vie d'uscita. E alla fine questa solitudine cronica, questa desolazione di anime e architetture diventa solo un quadretto romantico, languido ed elegante su cui possiamo smettere di sbatterci la testa per capire e trovare soluzioni, ma che possiamo finalmente usare a nostro piacimento per creare atmosfere raffinate alla Wong Kar Wai*. E invece no! dico io. Non si può estetizzare, e quindi banalizzare, una tragedia del genere. Perché poi nei festivàl europei sembra che questa solitudine di cui parla Koreeda sia proprio così: un'immagine soffusa e ovattata, triste si, ma quasi romantica e perfino cool. E invece ci stanno persone in carne e ossa che sopravvivono nella miseria e nella solitudine, e la miseria e la solitudine sono cose affatto romantiche e cool.
Per raccontare il Giappone di oggi, i cineasti giapponesi farebbero meglio a guardare i film dei Dardenne e meno quelli di Wong; e se i sottotitoli danno noia, che si guardassero chessò, i primi film di Ōshima! Li trovano pure da Tsutaya. Sono pure in offerta a 100 yen.
La visione di Air Doll è comunque vivamente consigliata: si vede Bae Doona nuda.
*Il direttore della fotografia di Air Doll è Mark Lee, che ha lavorato in In the Mood for Love.
lunedì 1 febbraio 2010
Le cose intorno a noi.
(tit. ing. All Around Us)
Giappone 2008
regia di Hashiguchi Ryōsuke 橋口亮輔
con Lily Franky リリー・フランキー (Kanao), Kimura Tae 木村多江 (Shōko), Emoto Akira 柄本明, Terajima Susumu 寺島進

Ecco finalmente un gran bel film, come non ne vedevo dai tempi della visione di Strawberry Shortcakes. E anche in questo caso devo ringraziare i consigli di Midnighteye perché senza di essi non avrei avuto la furtuna di vederlo. Tom Mes lo ha messo al secondo posto nella sua classifica personale dei film del 2008 (si sono in ritardo di un anno e la stitichezza di questo blog ne è la prova) e questo mi è bastato per farmi venire la voglia di fare un salto a noleggiarlo.
Non ho voglia di scivere un trattato, quindi sarò breve. Hashiguchi è quello di Hush!, splendida commedia di qualche anno fa. Peccato non faccia film un po' più spesso. In Gururi no koto (vuol dire proprio "le cose che sono intorno [a noi], che [ci] girano intorno") firma regia, montaggio e sceneggiatura. Il film racconta un periodo di circa dieci anni, dal 1993, della vita di una giovane coppia interpretata da Lily Franky (è solo un nome d'arte) e Kimura Tae. Lui lavora come disegnatore di bozzetti nelle sale del tribunale (avete presente quei ritratti schizzati delle udienze che si vedono spesso anche nell'ambiente giudiziario statunitense? ecco quelli), lei lavora in una piccola casa editrice. Le loro vite e il mondo che gira loro intorno (come da titolo) sono raccontate con una cura appassionata e appassionante. Le difficoltà, i piccoli e grandi problemi, la tenerezza, il calore e l'intimità della vita di coppia sono espresse in maniera perfetta, con una attenzione al dettaglio da rimanere a bocca aperta. Ma forse la cosa che più mi ha colpito di questo film è il modo in cui il personale e il "piccolo", cioè il racconto della vita di coppia di Kanao e Shōko, un racconto "caldo" e vitale, si mescola al freddo racconto dei crimini efferati a cui assistiamo nelle aule del tribunale. Un po' come se le violenze e le crudeltà più inimmaginabili facciano parte anch'esse dell'esistenza, inscindibili dal tutto.
Eccezionali i due attori protagonisti, soprattutto Lily Franky, considerando che solo recentemente ha cominciato a recitare (è un designer, scrittore, illustratore, ecc.). Occhio a una lunghissima sequenza centrale, una litigata di coppia con annesso riappacificamento, nonché importante svolta narrativa: nel suo genere un capolavoro di scrittura, ma forse soprattutto di recitazione: dramma, tensione, emozione, comicità, tutto in pochi minuti e in una singola sequenza. Applausi ai due bravissimi attori.
Una piccola nota finale di poco conto e per pochi: se avete interesse o esperienza nel campo delle arti figurative, se disegnate, dipingete o magari lo avete fatto in passato, bè è un ulteriore motivo per cui mi sento di consigliarvi questo film. Sotto questo aspetto mi ha messo in uno stato d'animo molto particolare, per cui subito dopo ho tirato fuori il blocco degli schizzi e ho cominciato a disegnare.
Il dvd è sottotitolato in inglese, più di così...
Sito ufficiale
Qui sotto il trailer
martedì 25 marzo 2008
Il cinema di Yamashita Nobuhiro. Premessa.

Questa premessa per dire cosa? Per dire che Yamashita Nobuhiro 山下敦弘 è il “qui e ora” nel cinema giapponese. Quanto durerà ancora non si sa, ma è meglio affrettarsi. Venezia e Cannes arrivano sempre troppo in ritardo.
つづく(*continua)
giovedì 6 marzo 2008
Il vecchio pazzo per la musica.

(tit. ing. The Life of Chikuzan)
Giappone 1977
regia di Shindō Kaneto 新藤兼人
con Hayashi Ryūzō 林隆三 (Sadazō/Chikuzan), Otowa Nobuko 乙羽信子 (madre di Chikuzan), Baishō Mitsuko 倍賞美津子 (seconda moglie di Sadazō)
supporto dvd (sottotitoli inglese)
La vita di Takahashi Chikuzan 高橋竹山, suonatore errante di shamisen (strumento tradizionale giapponese a tre corde); la nascita in una povera famiglia di contadini, nelle depresse e gelide aree dell’estremo nord di Honshū, l’isola principale dell’arcipelago giapponese; la parziale cecità contratta da bambino; il duro apprendistato presso un suonatore errante; l’incessante vagabondare, suonando davanti alle case in attesa di qualche soldo o cibo; l’impossibilità di una vita coniugale normale; il tutto introdotto e concluso dalle parole dello stesso Takahashi Chikuzan, ormai anziano e apprezzato maestro di Tsugaru shamisen (lo stile dell’antica regione di Tsugaru, l’attuale provincia di Aomori).
Shindō Kaneto non è nuovo a rappresentazioni quasi documentarie di vita giapponese (come in L’isola nuda - Hadaka no shima, 1960). Qui riesce a bilanciare con maestria, documentario etnologico, dramma e persino ricerca estetica. La figura di Sadazō (Chikuzan è il nome d’arte che prenderà solo in età avanzata), è quella di un pazzo per la musica, un corpo musicale che sembra non avere limiti. Un moto perpetuo che non può essere spiegato con il solo bisogno di sopravvivenza (Sadazō vive di musica in tutti i sensi), ma la cui ragione va vista nel più alto grado della ricerca artistica. E allora Sadazō è un pazzo, che si sposta incessante e quasi stolido per valli, spiagge e catapecchie. Mangia quello che riceve, dorme dove capita e viaggia con chi incontra.
In questo scritto, l’autore paragona la figura di Sadazō errante a quella di Kunisada Chūji 国定忠次, famoso eroe bandito della fine dell’epoca Edo (1615-1868) e protagonista di numerosi film, soprattutto negli anni venti e trenta. Durante il film, infatti, viene mostrato Sadazō mentre lavora in un cinema quale membro dell’orchestra accompagnatrice di un film muto. In questa scena possiamo vedere alcune immagini di un film che ha per protagonista Kunisada Chūji. L’autore sostiene che Shindō Kaneto “intentionally wished to draw a comparison between Chuji the chivalrous commoner of legend & this modern folksinger.”, e la cosa è effettivamente plausibile. Non so se sia corretto definire Chikuzan hitori tabi una sorta di matatabi eiga, ovvero quel sottogenere dei jidaigeki (film in costume, generalmente ambientati fino al 1868), che ha per protagonisti viaggiatori erranti, quasi sempre yakuza o giocatori d’azzardo. Nei matatabi eiga, il viaggio è uno sfondo, una piattaforma su cui costruire il personaggio e la narrazione, che, infatti, si svolge quasi sempre in un unico luogo. Sono ben differenti dai road movie americani, dove il muoversi fisico dei luoghi (la maestosità degli spazi americani) è spesso quasi predominante rispetto all’individuo che vi si muove all’interno. Chikuzen hitori tabi è forse più vicino all’idea occidentale di road movie, sebbene sia l’uomo, senza dubbio, ad avere la completa attenzione.
Chikuzen hitori tabi è un film di piedi, piedi senza paura, sprofondati nel fango e nella neve, di piedi che non si fermano. C’è una sequenza di un pasto, tra Sadazō e un suo compagno di vagabondaggio, che si svolge in riva al mare: il pasto è misero e la sua preparazione è quanto di più spartano e antigienico si possa immaginare, eppure nelle immagini di quel rito frugale si ricrea una magia indescrivibile che rende quel momento così perfetto e in grado di esprimere concetti immensi, quali vita, amicizia, umanità. Cosa lascia dopo la visione? Un senso di costrizione, forse. Nel vedere quest’uomo che non ha legami materiali, che cammina libero coniugando la vita solo al presente, ci si sente soffocare, così, forse per un attimo, nelle nostre prigioni dorate, riscaldate e munite di frigorifero.
