Ehm… facciamo finta che non siano passati anni (sì, anni, non è un'iperbole) e riprendiamo.
Mi capita, vivendo in Giappone e lavorando con la lingua e le parole, di imbattermi in casi linguistici che possono complicare la vita di chi studia la lingua giapponese. Spesso questi casi linguistici, chiamiamoli pure problemi, non sorgono all'interno della lingua madre, ma sono spesso termini stranieri, perlopiù inglesi, riprodotti in giapponese per mezzo del katakana. Per i più esperti non saranno granché, ma spero questo mio "sfogo" possa essere utile a qualche studente non ancora avvezzo alla lingua giapponese parlata giornalmente. (Chissà, magari diventerà una serie regolare all'interno del blog.)
Oggi vorrei parlare in particolare del termine コンセプト ("konseputo"). Viene ovviamente dall'inglese "concept" e si traduce in italiano con… "concetto"!, direte voi, bè, non è sempre così semplice. Sfogliando il dizionario Shogakukan giapponese-italiano troviamo alla voce コンセプト, semplicemente e definitivamente un unico termine "concetto". Se viceversa cerchiamo l'italiano "concetto", ci sono molte più voci: intanto una soluzione che ci pare bellissima e comodissima: 概念 ("gainen"), una parola di due kanji, seria, dotta, vorrei definirla "tedesca", ma ovviamente non posso.
Il fatto è che ultimamente in Giappone questa parola, コンセプト, va molto di moda e la troverete spesso. Dove? Soprattutto nei siti web di aziende, negozi e locali di vario genere. Per esempio, il sito internet di un ristorante, nei menù della pagina avrà sicuramente tra i bottoni link anche il nostro コンセプト. Il "concetto" del nostro ristorante è "l'idea ispiratrice che ne sta alla base", ad esempio, "cucina italiana ma con ingredienti giapponesi".
Fin qui nulla di trascendentale, credo. I problemi di traduzione e comprensione si sviluppano però con l'(ab)uso sempre più naturale e colloquiale di questa parola, oramai diventata "cool" soprattutto tra i giovani. E soprattutto completamente giapponesizzata nell'uso, ovvero una parola dal significato che si estende fino all'orizzonte e capace da sola di generare un concetto (appunto) intraducibile se non con una frase.
Qualche esempio:
ショップのコンセプトは「手紙」。
Traduzione iper letterale per enfatizzare: "Il concetto del negozio [sono] le lettere"
(dalla recensione di un negozio specializzato in carta da lettere, cartoleria, ecc.)
“日本”をコンセプトにした生活用品
"Oggetti d'uso quotidiano che hanno come concetto 'il Giappone'"
(Si parla di un negozio specializzato in oggetti di design e artigianato giapponese)
Si capisce che in entrambi gli esempi, la traduzione migliore la si raggiunge usando la parola "tema": "le lettere sono il tema del negozio", ed esempio.
Spesso però, il コンセプト non è un oggetto concreto o anche una parola, e la traduzione "tema" comincia a faticare:
『甘いけど毒がある』[…]というコンセプトが出来ました。
"'dolce ma velenoso' è il concetto che ne è venuto fuori."
(E' il concetto (sic!) che è scaturito partendo dal nome di un dolcificante alimentare tossico che fa da nome a… un salone di bellezza!) Quindi vediamo che il コンセプト può ormai essere anche solo un'idea astratta, uno slogan ispiratore che sta alla base della filosofia di una certa azienda, e questa potenza di significato sta stipata dentro questa parola, che i giapponesi usano con noncuranza, ma per noi diventa ardua da tradurre, soprattutto quando bisogna rispettare la concisione originale, per esempio nel tradurre uno slogan.
お店のコンセプトって何ですか。
Quindi se un cliente, rivolgendosi al commesso di un negozio di abbigliamento, chiede: "Qual è il concetto del negozio?", si aspetterà una risposta ben più profonda di "vendere vestiti". Vorrà sapere a con quale criterio sono scelti i vestiti in vendita, a che tipo di clientela sono dedicati, ma forse, soprattutto, qual è la filosofia del negozio, possibilmente qualcosa di figo.
Direi che può bastare.
Io intanto continuo a pensare a quale cavolo sia il コンセプト del mio blog.
mercoledì 6 agosto 2014
venerdì 17 settembre 2010
Bambole gonfiabili.
Kūki ningyō - 空気人形
(tit. ing. Air Doll)
Giappone 2009
regia di KOREEDA Hirokazu 是枝裕和
con BAE Doona, ARATA, ITAO Itsuji 板尾創路, Odagiri Joe オダギリ ジョー, TERAJIMA Susumu 寺島進

Se siete capitati in questo blog cercando su Google "bambole gonfiabili", oppure i più raffinati "Bae Doona nuda", mi dispiace ma resterete un poco delusi. Comunque non disperate, potrete sempre allietarvi la giornata, nonchè diventare ancora più nerd leggendovi la mia pseudo-recensione, pseudo-intellettuale. Potrete così usare le mie brillantissime argomentazioni per stroncare il film di Koreeda con i vostri amici, senza nemmeno citare la fonte. Fine del prologo divertente.
La tesi del film di Koreeda è che nelle grandi città giapponesi le persone sono sole, e vuote: insomma, non proprio un tema originale. Oltre a questo, il problema è che questa tesi (che peraltro dovrebbe essere sempre dimostrata) sembra sia usata come una scenografia bell' e pronta. Il ragazzino ossessionato dalle "maid" (le ragazze vestite come delle camerierine vecchio stile), l'anziana signora che vive col terrore dei criminali, il vecchio abbandonato, eccetera, sono solo degli stereotipi buttati lì per fare scenografia. Koreeda non si fa mancare neanche "la ragazza bulimica": non c'è nemmeno bisogno che parli, basta che vomiti. Non c'è il minimo tentativo quantomeno di raccontare l'esistenza dei "casi umani" che ci vengono presentati. Non c'è mai la volontà di rimboccarsi le maniche e spiegare, indagare, proporre vie d'uscita. E alla fine questa solitudine cronica, questa desolazione di anime e architetture diventa solo un quadretto romantico, languido ed elegante su cui possiamo smettere di sbatterci la testa per capire e trovare soluzioni, ma che possiamo finalmente usare a nostro piacimento per creare atmosfere raffinate alla Wong Kar Wai*. E invece no! dico io. Non si può estetizzare, e quindi banalizzare, una tragedia del genere. Perché poi nei festivàl europei sembra che questa solitudine di cui parla Koreeda sia proprio così: un'immagine soffusa e ovattata, triste si, ma quasi romantica e perfino cool. E invece ci stanno persone in carne e ossa che sopravvivono nella miseria e nella solitudine, e la miseria e la solitudine sono cose affatto romantiche e cool.
Per raccontare il Giappone di oggi, i cineasti giapponesi farebbero meglio a guardare i film dei Dardenne e meno quelli di Wong; e se i sottotitoli danno noia, che si guardassero chessò, i primi film di Ōshima! Li trovano pure da Tsutaya. Sono pure in offerta a 100 yen.
La visione di Air Doll è comunque vivamente consigliata: si vede Bae Doona nuda.
*Il direttore della fotografia di Air Doll è Mark Lee, che ha lavorato in In the Mood for Love.
(tit. ing. Air Doll)
Giappone 2009
regia di KOREEDA Hirokazu 是枝裕和
con BAE Doona, ARATA, ITAO Itsuji 板尾創路, Odagiri Joe オダギリ ジョー, TERAJIMA Susumu 寺島進

Se siete capitati in questo blog cercando su Google "bambole gonfiabili", oppure i più raffinati "Bae Doona nuda", mi dispiace ma resterete un poco delusi. Comunque non disperate, potrete sempre allietarvi la giornata, nonchè diventare ancora più nerd leggendovi la mia pseudo-recensione, pseudo-intellettuale. Potrete così usare le mie brillantissime argomentazioni per stroncare il film di Koreeda con i vostri amici, senza nemmeno citare la fonte. Fine del prologo divertente.
La tesi del film di Koreeda è che nelle grandi città giapponesi le persone sono sole, e vuote: insomma, non proprio un tema originale. Oltre a questo, il problema è che questa tesi (che peraltro dovrebbe essere sempre dimostrata) sembra sia usata come una scenografia bell' e pronta. Il ragazzino ossessionato dalle "maid" (le ragazze vestite come delle camerierine vecchio stile), l'anziana signora che vive col terrore dei criminali, il vecchio abbandonato, eccetera, sono solo degli stereotipi buttati lì per fare scenografia. Koreeda non si fa mancare neanche "la ragazza bulimica": non c'è nemmeno bisogno che parli, basta che vomiti. Non c'è il minimo tentativo quantomeno di raccontare l'esistenza dei "casi umani" che ci vengono presentati. Non c'è mai la volontà di rimboccarsi le maniche e spiegare, indagare, proporre vie d'uscita. E alla fine questa solitudine cronica, questa desolazione di anime e architetture diventa solo un quadretto romantico, languido ed elegante su cui possiamo smettere di sbatterci la testa per capire e trovare soluzioni, ma che possiamo finalmente usare a nostro piacimento per creare atmosfere raffinate alla Wong Kar Wai*. E invece no! dico io. Non si può estetizzare, e quindi banalizzare, una tragedia del genere. Perché poi nei festivàl europei sembra che questa solitudine di cui parla Koreeda sia proprio così: un'immagine soffusa e ovattata, triste si, ma quasi romantica e perfino cool. E invece ci stanno persone in carne e ossa che sopravvivono nella miseria e nella solitudine, e la miseria e la solitudine sono cose affatto romantiche e cool.
Per raccontare il Giappone di oggi, i cineasti giapponesi farebbero meglio a guardare i film dei Dardenne e meno quelli di Wong; e se i sottotitoli danno noia, che si guardassero chessò, i primi film di Ōshima! Li trovano pure da Tsutaya. Sono pure in offerta a 100 yen.
La visione di Air Doll è comunque vivamente consigliata: si vede Bae Doona nuda.
*Il direttore della fotografia di Air Doll è Mark Lee, che ha lavorato in In the Mood for Love.
lunedì 1 febbraio 2010
Le cose intorno a noi.
Gururi no koto - ぐるりのこと。
(tit. ing. All Around Us)
Giappone 2008
regia di Hashiguchi Ryōsuke 橋口亮輔
con Lily Franky リリー・フランキー (Kanao), Kimura Tae 木村多江 (Shōko), Emoto Akira 柄本明, Terajima Susumu 寺島進

Ecco finalmente un gran bel film, come non ne vedevo dai tempi della visione di Strawberry Shortcakes. E anche in questo caso devo ringraziare i consigli di Midnighteye perché senza di essi non avrei avuto la furtuna di vederlo. Tom Mes lo ha messo al secondo posto nella sua classifica personale dei film del 2008 (si sono in ritardo di un anno e la stitichezza di questo blog ne è la prova) e questo mi è bastato per farmi venire la voglia di fare un salto a noleggiarlo.
Non ho voglia di scivere un trattato, quindi sarò breve. Hashiguchi è quello di Hush!, splendida commedia di qualche anno fa. Peccato non faccia film un po' più spesso. In Gururi no koto (vuol dire proprio "le cose che sono intorno [a noi], che [ci] girano intorno") firma regia, montaggio e sceneggiatura. Il film racconta un periodo di circa dieci anni, dal 1993, della vita di una giovane coppia interpretata da Lily Franky (è solo un nome d'arte) e Kimura Tae. Lui lavora come disegnatore di bozzetti nelle sale del tribunale (avete presente quei ritratti schizzati delle udienze che si vedono spesso anche nell'ambiente giudiziario statunitense? ecco quelli), lei lavora in una piccola casa editrice. Le loro vite e il mondo che gira loro intorno (come da titolo) sono raccontate con una cura appassionata e appassionante. Le difficoltà, i piccoli e grandi problemi, la tenerezza, il calore e l'intimità della vita di coppia sono espresse in maniera perfetta, con una attenzione al dettaglio da rimanere a bocca aperta. Ma forse la cosa che più mi ha colpito di questo film è il modo in cui il personale e il "piccolo", cioè il racconto della vita di coppia di Kanao e Shōko, un racconto "caldo" e vitale, si mescola al freddo racconto dei crimini efferati a cui assistiamo nelle aule del tribunale. Un po' come se le violenze e le crudeltà più inimmaginabili facciano parte anch'esse dell'esistenza, inscindibili dal tutto.
Eccezionali i due attori protagonisti, soprattutto Lily Franky, considerando che solo recentemente ha cominciato a recitare (è un designer, scrittore, illustratore, ecc.). Occhio a una lunghissima sequenza centrale, una litigata di coppia con annesso riappacificamento, nonché importante svolta narrativa: nel suo genere un capolavoro di scrittura, ma forse soprattutto di recitazione: dramma, tensione, emozione, comicità, tutto in pochi minuti e in una singola sequenza. Applausi ai due bravissimi attori.
Una piccola nota finale di poco conto e per pochi: se avete interesse o esperienza nel campo delle arti figurative, se disegnate, dipingete o magari lo avete fatto in passato, bè è un ulteriore motivo per cui mi sento di consigliarvi questo film. Sotto questo aspetto mi ha messo in uno stato d'animo molto particolare, per cui subito dopo ho tirato fuori il blocco degli schizzi e ho cominciato a disegnare.
Il dvd è sottotitolato in inglese, più di così...
Sito ufficiale
Qui sotto il trailer
(tit. ing. All Around Us)
Giappone 2008
regia di Hashiguchi Ryōsuke 橋口亮輔
con Lily Franky リリー・フランキー (Kanao), Kimura Tae 木村多江 (Shōko), Emoto Akira 柄本明, Terajima Susumu 寺島進

Ecco finalmente un gran bel film, come non ne vedevo dai tempi della visione di Strawberry Shortcakes. E anche in questo caso devo ringraziare i consigli di Midnighteye perché senza di essi non avrei avuto la furtuna di vederlo. Tom Mes lo ha messo al secondo posto nella sua classifica personale dei film del 2008 (si sono in ritardo di un anno e la stitichezza di questo blog ne è la prova) e questo mi è bastato per farmi venire la voglia di fare un salto a noleggiarlo.
Non ho voglia di scivere un trattato, quindi sarò breve. Hashiguchi è quello di Hush!, splendida commedia di qualche anno fa. Peccato non faccia film un po' più spesso. In Gururi no koto (vuol dire proprio "le cose che sono intorno [a noi], che [ci] girano intorno") firma regia, montaggio e sceneggiatura. Il film racconta un periodo di circa dieci anni, dal 1993, della vita di una giovane coppia interpretata da Lily Franky (è solo un nome d'arte) e Kimura Tae. Lui lavora come disegnatore di bozzetti nelle sale del tribunale (avete presente quei ritratti schizzati delle udienze che si vedono spesso anche nell'ambiente giudiziario statunitense? ecco quelli), lei lavora in una piccola casa editrice. Le loro vite e il mondo che gira loro intorno (come da titolo) sono raccontate con una cura appassionata e appassionante. Le difficoltà, i piccoli e grandi problemi, la tenerezza, il calore e l'intimità della vita di coppia sono espresse in maniera perfetta, con una attenzione al dettaglio da rimanere a bocca aperta. Ma forse la cosa che più mi ha colpito di questo film è il modo in cui il personale e il "piccolo", cioè il racconto della vita di coppia di Kanao e Shōko, un racconto "caldo" e vitale, si mescola al freddo racconto dei crimini efferati a cui assistiamo nelle aule del tribunale. Un po' come se le violenze e le crudeltà più inimmaginabili facciano parte anch'esse dell'esistenza, inscindibili dal tutto.
Eccezionali i due attori protagonisti, soprattutto Lily Franky, considerando che solo recentemente ha cominciato a recitare (è un designer, scrittore, illustratore, ecc.). Occhio a una lunghissima sequenza centrale, una litigata di coppia con annesso riappacificamento, nonché importante svolta narrativa: nel suo genere un capolavoro di scrittura, ma forse soprattutto di recitazione: dramma, tensione, emozione, comicità, tutto in pochi minuti e in una singola sequenza. Applausi ai due bravissimi attori.
Una piccola nota finale di poco conto e per pochi: se avete interesse o esperienza nel campo delle arti figurative, se disegnate, dipingete o magari lo avete fatto in passato, bè è un ulteriore motivo per cui mi sento di consigliarvi questo film. Sotto questo aspetto mi ha messo in uno stato d'animo molto particolare, per cui subito dopo ho tirato fuori il blocco degli schizzi e ho cominciato a disegnare.
Il dvd è sottotitolato in inglese, più di così...
Sito ufficiale
Qui sotto il trailer
giovedì 3 settembre 2009
Il fu Giappone.
Kawase Hasui 川瀬巴水 (1883-1957)
La tecnica xilografica giapponese portata a livelli forse insuperabili. La tecnica prospettica occidentale, all'epoca ancora tutto sommato una novità in Giappone, finalmente assimilata e compresa, piegata a mezzo espressivo. Ma soprattutto una voglia di documentazione paesaggistica e "turistica" (i meishoe 名所絵, le immagini di luoghi famosi, sono un genere importante nell'arte giapponese e in particolare nelle stampe) che rifugge da qualsiasi aspirazione artistica, dalla monumentalità e dall'eccentricità, capace di cogliere gli aspetti più intimi del Giappone. Guardate l'opera sotto, che mostra uno dei maggiori tesori del Giappone, la sala principale del Byōdōin di Uji, ma raffigurato di lato.
La tecnica xilografica giapponese portata a livelli forse insuperabili. La tecnica prospettica occidentale, all'epoca ancora tutto sommato una novità in Giappone, finalmente assimilata e compresa, piegata a mezzo espressivo. Ma soprattutto una voglia di documentazione paesaggistica e "turistica" (i meishoe 名所絵, le immagini di luoghi famosi, sono un genere importante nell'arte giapponese e in particolare nelle stampe) che rifugge da qualsiasi aspirazione artistica, dalla monumentalità e dall'eccentricità, capace di cogliere gli aspetti più intimi del Giappone. Guardate l'opera sotto, che mostra uno dei maggiori tesori del Giappone, la sala principale del Byōdōin di Uji, ma raffigurato di lato.
Pudore? o forse perché l'architettura, sublime ma pericolosamente maestosa, non prevalga rozzamente sulla bellezza effimera del crepuscolo. Negli esempi più alti, l'arte giapponese ha sempre dichiarato con chiarezza l'impossibilità di una scissione tra opera e ambiente naturale: non esiste "il Byōdōin", esiste "il Byōdōin al crepuscolo", sotto la neve, sotto la luna piena, ecc. Ci sono altre stampe raffiguranti il Byōdōin, sempre trattato allo stesso modo, con l'occhio che si sposta di lato, incapace di abbracciarlo nel complesso.
C'è quasi del verismo in alcune opere, eppure tutto è velato da una patina di squisito romanticismo, malinconico, come nei tramonti che dipingono di rosa nuvole o scogliere. Una vena nostalgica inusuale (al tramonto è si sempre preferita l'alba, nell'arte giapponese) perché probabilmente conscia dell'inevitabile fine di un mondo tanto delicato.
In questa pagina di hanga.com è possibile trovare una collezione virtuale di incredibile vastità (c'è quasi l'opera completa) delle opere di Kawase, oltre ad altre informazioni sull'autore. Da sfogliare con calma, cercando di non lasciarsi prendere dallo sconforto o dall'invidia verso chi ha potuto vedere coi propri occhi quello che probabilmente era uno dei paesi più splendidi del pianeta.
giovedì 18 dicembre 2008
giovedì 4 dicembre 2008
mercoledì 17 settembre 2008
Meno "artisti", più "illustratori"!
Yamaguchi Akira 山口晃
Shitennō*, Jikokuten
四天王立像「持国天」
2006
olio, acquerello e china su tela
194 x 97 cm
Shitennō, Kōmokuten
四天王立像「廣目天」
2006
olio, acquerello e china su tela
194 x 97 cm

四天王立像「持国天」
2006
olio, acquerello e china su tela
194 x 97 cm

四天王立像「廣目天」
2006
olio, acquerello e china su tela
194 x 97 cm

絵馬圖
2001
olio e vernice su compensato
182,5 x 183 cm

ケーブルカー圖
2005
penna e acquerello su carta
32,7 x 24,4 cm

百貨店圖 日本橋 新三越本店
2004
penna e acquerello su carta
59,4 x 84,1 cm
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